Non finiscono gli episodi di violenza contro le donne, i femminicidi che chiudono il 2024 con 93 casi [fonte: Osservatorio Nazionale di “Non Una di Meno”, aggiornato all’8 dicembre 2024].

Nel tentativo di dare una risposta quanto più razionale possibile a questo dilagante fenomeno, che risposte “emotive” non ne può trovare, sono andata alla ricerca degli studi più rilevanti che hanno delineato il profilo psicologico del maltrattante. Ovvero di “Colui” che uccide la moglie, la partner, una ex amante… la donna.  

La persona che può trasformarsi in maltrattante non ha un’età, un’estrazione sociale o una collocazione esclusiva: può essere tra i banchi di scuola, in ufficio, o seduto a tavola, in casa…

La “questione di genere” non mi piace ma il “problema” va definito per essere superato

La questione di genere non mi piace e non credo che dovrebbe diventare lo spartiacque di alcuna riflessione sociologica o psicologica. Ma al momento deve essere guardata come a un processo di scatto evolutivo.

Se non ci soffermiamo ora su questa forma di rigetto culturale, perché anche di cultura (anzi di subcultura, si tratta), non potremo mai muoverci da qui. E probabilmente ci vorranno anni o movimenti di eradicazione pesante, ma è un processo che va fatto. Anche perché è importante per prendere iniziative nei confronti della violenza, spesso non denunciata quando ancora ai suoi stadi iniziali.

Non esiste un solo profilo di uomo maltrattante

Il fenomeno della violenza di genere rappresenta una problematica complessa che richiede un’analisi approfondita dei meccanismi psicologici sottostanti. La ricerca scientifica contemporanea ha evidenziato non un singolo profilo dell’uomo maltrattante, quanto piuttosto un insieme di caratteristiche psicologiche, cognitive e comportamentali che possono manifestarsi in diverse combinazioni. Questa comprensione è fondamentale per sviluppare interventi e strategie di prevenzione.

Lo studio sul profilo dell’uomo violento [dinamiche di potere, oggettivazione sessuale e distorsioni cognitive]

Credo fermamente nella condivisione dei saperi che possono arricchire il dato sperimentale, tratto dall’esperienza sul campo. È per questa ragione che ritengo prezioso il lavoro dei colleghi con più anni di attività nella ricerca e nell’indagine clinica.

Tra i diversi studi che ho analizzato, ce n’è uno che vorrei condividere, il cui autore principale è Tony Ward, un accademico noto per il suo lavoro sulle teorie integrate dei reati sessuali, affiliato all’Università di Wellington, in Nuova Zelanda, dove ha sviluppato contributi significativi nel campo della criminologia e della psicologia forense.

Lo studio – “Psychological Theories Related to Sexual Violence and Abuse” [2014] si inserisce in un corpus più ampio di ricerche che cercano di integrare prospettive psicologiche, sociali e biologiche per cercare di comprendere i comportamenti sessualmente violenti e la violenza di genere, con un focus su dinamiche di potere, oggettivazione sessuale e distorsioni cognitive che caratterizzano i maltrattanti.

Caratteristiche psicologiche

→ Violenza come meccanismo di gestione emotiva di rabbia e frustrazione
La disregolazione emotiva rappresenta uno dei fattori centrali nel profilo dell’uomo maltrattante. Questi individui mostrano significative difficoltà nel gestire le proprie emozioni negative, in particolare la rabbia e la frustrazione. Tale deficit si manifesta attraverso una limitata capacità di riconoscere e modulare gli stati emotivi intensi, portando spesso a reazioni sproporzionate rispetto agli stimoli scatenanti.

Questa difficoltà sembra essere radicata in esperienze precoci di attaccamento disfunzionale ed esacerbata da fattori di stress ambientali. Il soggetto tende a percepire le proprie emozioni come incontrollabili e travolgenti, ricorrendo alla violenza come meccanismo maladattivo di regolazione.

→ Relazioni di coppia basate su attaccamento insicuro e dipendenza emotiva [paura dell’abbandono, controllo ossessivo e gelosia patologica]
In genere, le relazioni interpersonali degli uomini maltrattanti sono caratterizzate da pattern di attaccamento insicuro che si manifestano attraverso modalità disfunzionali di gestione dell’intimità.

La paura cronica dell’abbandono, elemento centrale in queste dinamiche, porta a comportamenti di controllo ossessivo e manifestazioni di gelosia patologica. Queste persone tendono a sviluppare relazioni basate sulla dipendenza emotiva, dove il timore della perdita del partner si traduce in tentativi di mantenere il controllo attraverso strategie coercitive. 

→ Credenze rigide e distorte sui ruoli di genere profondamente radicati e resistenti al cambiamento
Gli schemi cognitivi degli uomini maltrattanti sono caratterizzati da credenze rigide e distorte riguardo ai ruoli di genere e alle relazioni di potere. Questi sistemi di pensiero riguardano la convinzione della superiorità maschile, la legittimazione della violenza come mezzo di risoluzione dei conflitti e la minimizzazione delle proprie responsabilità. Il pensiero dicotomico, caratterizzato da interpretazioni estreme e poco sfumate della realtà, contribuisce a mantenere questi schemi disfunzionali. 

Tipologie comportamentali

→ La persona con disregolazione emotiva
Il soggetto con disregolazione emotiva manifesta una marcata difficoltà nel controllo degli impulsi e una tendenza all’esplosione emotiva. Le sue azioni violente sono spesso reattive e scatenate da situazioni percepite come minacciose per la propria autostima o sicurezza emotiva.

Questi individui mostrano una particolare vulnerabilità alla frustrazione e al rifiuto, con reazioni che possono apparire sproporzionate agli occhi esterni. La violenza in questo caso emerge come tentativo disfunzionale di gestire stati emotivi intensi e overwhelming.

→ Il tipo controllante e manipolatorio
Il maltrattante di tipo controllante esercita una violenza più sistematica e strumentale, finalizzata al mantenimento del potere e del controllo sulla partner. Le sue azioni sono spesso premeditate e si inseriscono in un pattern più ampio di comportamenti manipolativi.

Questa tipologia si caratterizza per l’uso strategico di diverse forme di abuso: psicologico, economico, sociale e fisico. La ricerca evidenzia come questi soggetti mantengano spesso una facciata di normalità sociale, rendendo più difficile l’identificazione del comportamento abusivo.

→ Il tipo con bassa autostima e paura dell’abbandono
Questa tipologia si caratterizza per profonde difficoltà nella gestione delle relazioni intime, radicate in una bassa autostima e in un’intensa paura dell’abbandono. La violenza emerge nel contesto di tentativi disfunzionali di mantenere la vicinanza emotiva e fisica con il partner. Questi individui mostrano spesso comportamenti possessivi e una gelosia patologica, alimentati da una profonda insicurezza nelle relazioni intime.

Indicatori comportamentali: i segnali che possono predire il rischio di comportamenti violenti

Gli indicatori comportamentali rappresentano segnali osservabili che possono predire il rischio di comportamenti violenti. L’aggressività verbale ricorrente si manifesta attraverso un pattern crescente di intimidazioni, minacce e svalutazioni che spesso precedono la violenza fisica.

La presenza di una storia di violenza pregressa è particolarmente significativa: la ricerca mostra infatti una forte correlazione tra comportamenti violenti passati e futuri. L’abuso di sostanze agisce come fattore amplificatore, riducendo i freni inibitori e aumentando la probabilità di escalation violenta. La violazione di restrizioni legali, come il mancato rispetto di ordini di protezione, indica un particolare disprezzo per i limiti e le conseguenze delle proprie azioni.

Indicatori psicologici: mancanza di empatia e schemi di pensiero rigidi, senso di diritto sul partner

Sul piano psicologico, la mancanza di empatia ovvero la difficoltà nel riconoscere e rispondere appropriatamente alle emozioni e al dolore altrui rappresenta un fattore di rischio centrale. La rigidità cognitiva si manifesta attraverso schemi di pensiero inflessibili e una resistenza al cambiamento delle proprie convinzioni, anche di fronte a evidenze contrarie.

La bassa tolleranza alla frustrazione porta a reazioni sproporzionate di fronte a contrarietà anche minime. Il senso di diritto sul partner si traduce nella convinzione di avere privilegi e prerogative speciali nella relazione, giustificando comportamenti controllanti e abusivi.

Indicatori sociali: isolamento progressivo e difficoltà relazionali 

L’isolamento sociale progressivo, sia dell’autore che della vittima, rappresenta un segnale d’allarme significativo. Le difficoltà lavorative ricorrenti possono indicare problemi più generali di adattamento e controllo degli impulsi. La presenza di problemi legali multipli suggerisce un pattern più ampio di comportamenti antisociali. Le relazioni familiari disfunzionali spesso riflettono e perpetuano modelli transgenerazionali di violenza.

Violenza sulle donne: riconoscere i segnali precoci e prendere provvedimenti

Ritengo sia fondamentale riconoscere i segnali di una violenza domestica, o comunque di una violenza di genere, preannunciata.

Ci sono i sintomi di un malessere che sta consumando la relazione, e che la sta dirigendo verso una conclusione per niente auspicabile. È importante riuscire a decodificarli con sguardo lucido e consapevole. Prendere in tempo una situazione di difficoltà relazionale, per esempio fornendo aiuto psicologico alla coppia, o al partner maltrattante, può salvare entrambe le persone dall’ennesima tragedia.

Alla luce del profilo, anzi dei profili, del maltrattante, e di tutte le dinamiche coinvolte, o potenzialmente tali, a mio avviso il lavoro terapeutico dovrebbe anzitutto concentrarsi sullo sviluppo della consapevolezza emotiva, aiutando la persona a riconoscere e a nominare le proprie emozioni, i propri impulsi.